di Marco Nesci
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha apposto la sua firma sul decreto legge “sicurezza”, varato dal Governo appena una settimana fa, il 4 aprile. Un atto che, a nostro avviso, segna una pericolosa deriva autoritaria e solleva interrogativi inquietanti sul ruolo del garante della Costituzione.
Le perplessità non nascono certo da un pregiudizio ideologico, ma da una constatazione oggettiva: non sussiste alcuna reale urgenza o straordinarietà che possa giustificare il ricorso allo strumento del decreto legge, un’eccezione costituzionale pensata per fronteggiare situazioni impreviste e di gravissima emergenza. Qual è dunque l’impellente necessità che ha spinto il Governo a bypassare il normale iter parlamentare, e cosa ha indotto il Presidente Mattarella a non esercitare il suo ruolo di controllo e bilanciamento?
Le questioni di ordine pubblico, per quanto delicate, non rappresentano certo una novità tale da giustificare un simile stravolgimento delle procedure legislative. Affrontarle attraverso decreti d’urgenza, che entrano immediatamente in vigore senza un adeguato dibattito parlamentare e nel paese, senza la necessaria ponderazione, appare come un mero atto repressivo nei confronti del dissenso sociale. Etichettare le legittime proteste per il lavoro o in difesa dell’ambiente come azioni “eversive” è un’operazione da puro regime, che ricorda i metodi delle dittature illiberali più che di una repubblica democratica fondata sui principi della partecipazione e della libertà di espressione.
Non riusciamo a comprendere la “straordinarietà” che il Presidente Mattarella avrebbe riscontrato in questa vicenda. Il suo silenzio e la sua approvazione appaiono, per usare un eufemismo, inspiegabili. Il garante della Costituzione dovrebbe essere il primo a vigilare sul rispetto delle regole e a tutelare i diritti fondamentali dei cittadini. Invece, con questa firma, sembra avallare una prassi che rischia di diventare la norma, svuotando di significato il ruolo del Parlamento e comprimendo gli spazi di libertà democratica.
Questo decreto, così frettolosamente approvato e firmato, non solo non risolve i problemi, ma rischia di esacerbare le tensioni sociali e di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Ci auguriamo che nei prossimi 60 giorni, sapendo che il Parlamento non sarà in grado di esercitare con forza il proprio ruolo, emendando o addirittura respingendo un provvedimento che rappresenta un pericoloso precedente per la nostra democrazia costituzionale, sarà necessaria una mobilitazione popolare straordinaria, in sfida al decreto stesso, che induca al ritiro di questo scempio di democrazia. Il silenzio e l’acquiescenza non sono più un’opzione. È tempo che le voci critiche si levino con forza per difendere i principi fondamentali della nostra Repubblica.

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