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Il patto sull'immigrazione e l'asilo: una fortezza inespugnabile o un fallimento umano annunciato?

2025-03-18 04:02

Pasquino

politica interna, politica internazionale,

Il patto sull'immigrazione e l'asilo: una fortezza inespugnabile o un fallimento umano annunciato?

inasprire le condizioni di accesso e concentrarsi sui rimpatri forzati rischia di non affrontare le radici profonde del fenomeno migratorio

Pasquino, la voce del popolo

 

Le recenti dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in vista del Consiglio europeo, pongono l'attuazione del Patto sulla migrazione e l'asilo come priorità assoluta per il prossimo anno. L'enfasi sulla velocizzazione di aspetti mirati del Patto, inclusa la designazione di paesi di origine sicuri e l'istituzione di "hub di rimpatrio" in paesi terzi, solleva serie preoccupazioni riguardo all'approccio europeo alla gestione dei flussi migratori e in particolare sui diritti umani.

Se da un lato si riconosce la necessità di un sistema più efficiente, dall'altro non si può ignorare una critica fondamentale: inasprire le condizioni di accesso e concentrarsi sui rimpatri forzati rischia di non affrontare le radici profonde del fenomeno migratorio, creando anzi ulteriori problemi. Chi fugge da guerre, persecuzioni, carestie o disastri ambientali è spesso spinto da una disperazione tale da non essere facilmente scoraggiato da ostacoli burocratici o dalla minaccia di essere respinto. La storia insegna che erigere muri, siano essi fisici o normativi, raramente ha fermato chi è costretto a lasciare la propria terra per sopravvivere.

La proposta di istituire "hub di rimpatrio" in paesi terzi evoca scenari inquietanti. Il timore è che tali strutture possano trasformarsi in veri e propri campi di detenzione, replicando modelli già sperimentati con esiti disastrosi e inumani, come nel caso della Libia. Concentrare persone in condizioni di vulnerabilità in strutture simili a prigioni, lontano da ogni forma di controllo e tutela efficace, non solo è una porcheria disgustosa, ma si dimostra anche inefficace come deterrente. La sofferenza e la morte da cui queste persone cercano di allontanarsi sono spesso così estreme da rendere qualsiasi ulteriore privazione di libertà o dignità un male minore.

La questione dei rimpatri è particolarmente delicata e non può essere affrontata con una logica puramente securitaria e repressiva. La vita di chi intraprende viaggi disperati, spesso mettendo a rischio la propria incolumità e quella dei propri cari, merita un approccio umano e affrontandone le cause. Etichettare queste persone con una "spocchia razzista e menefreghista", come se fossero semplici numeri o minacce alla sicurezza, è un atteggiamento inaccettabile per una civiltà che si professa fondata sui diritti umani.

Il rafforzamento del rimpatrio forzato e le misure più severe per coloro che sono considerati un rischio per la sicurezza sollevano interrogativi sulla proporzionalità e sul rispetto dei diritti fondamentali. È necessario garantire che ogni decisione di rimpatrio sia presa nel pieno rispetto delle leggi internazionali e dei diritti individuali, evitando generalizzazioni e stigmatizzazioni.

L'annunciata digitalizzazione della gestione dei casi di rimpatrio e la revisione di Frontex, pur potendo rappresentare strumenti utili per una gestione più efficiente, non devono oscurare la necessità di un approccio globale e umano al fenomeno migratorio. Concentrarsi unicamente sulla deterrenza e sul rimpatrio rischia di perpetuare una visione miope e inefficace, ignorando le cause profonde delle migrazioni e le responsabilità di un'Europa che si proclama, a parole ma non nei fatti,  paladina dei diritti umani e di democrazia. Invece di costruire fortezze inespugnabili, l'Unione Europea dovrebbe investire in politiche di cooperazione internazionale, sostegno ai paesi di origine e canali di migrazione sicuri e legali, dimostrando una vera leadership basata sull'umanità e sulla solidarietà.

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