di Marco Nesci
La decisione di Maurizio Landini di portare la CGIL nella stessa piazza dei fautori dell'aumento delle spese militari rappresenta una scelta sconcertante e profondamente sbagliata. Un errore politico di portata storica che rischia di compromettere la credibilità stessa del sindacato e di infliggere un duro colpo alle battaglie che la CGIL sta portando avanti, a partire dai referendum sul lavoro.
È difficile comprendere la logica che ha spinto il segretario confederale ad avallare una manifestazione promossa da chi, apertamente, sostiene l'incremento degli investimenti in armamenti. Una scelta che stride in maniera fragorosa con la storia del movimento operaio e dei lavoratori, da sempre in prima linea nelle lotte contro la guerra, il militarismo e lo sperpero di risorse in armamenti a discapito dei bisogni sociali. Come si può conciliare la difesa dei diritti dei lavoratori, la richiesta di maggiori investimenti nella sanità, nella scuola, nei servizi sociali, con la partecipazione ad una piazza che invoca più armi e più spese militari? La contraddizione è talmente evidente da risultare persino imbarazzante.
Non stupisce, dunque, la levata di scudi che si è registrata all'interno della stessa CGIL. Voci di dissenso si sono levate da più parti, con esponenti della minoranza interna e numerosi militanti che hanno espresso apertamente la loro contrarietà a questa adesione, preannunciando la loro partecipazione alle contro-manifestazioni per la pace e la giustizia sociale che si terranno in contemporanea. Un segnale importante, che testimonia come la base del sindacato non intenda rinunciare ai valori fondanti del movimento operaio e non sia disposta a svendere la propria anima sull'altare di una malintesa unità nazionale in salsa guerrafondaia.
Ma l'aspetto più preoccupante di questa vicenda è l'impatto negativo che essa rischia di avere sulle stesse iniziative promosse dalla CGIL, in primis i referendum abrogativi del Jobs Act. Come può il sindacato chiedere ai cittadini di votare per cancellare norme che precarizzano il lavoro, mentre contemporaneamente scende in piazza con chi quelle stesse norme le ha volute e difese, e che ora invoca più spese militari a scapito dello stato sociale? L'adesione di Landini alla piazza “guerrafondaia” non solo crea una cortocircuito politico devastante, ma rischia di depotenziare la forza propulsiva dei referendum, minando la credibilità della CGIL agli occhi di quei settori di opinione pubblica più sensibili ai temi della pace e della giustizia sociale.
È evidente che le risorse economiche destinate alle spese militari sono risorse sottratte al welfare, alla sanità, alla scuola, agli investimenti pubblici, alla creazione di lavoro stabile e di qualità, al rinnovo dei contratti. Sostenere l'aumento delle spese militari significa, di fatto, accettare un modello di società in cui le esigenze della difesa e della sicurezza vengono anteposte ai diritti sociali e ai bisogni dei cittadini. Un modello che la CGIL, per storia e per vocazione, dovrebbe invece contrastare con tutte le sue forze.
Caro Landini, hai proprio sbagliato piazza. E speriamo che tu possa al più presto correggere questa rotta pericolosa, prima che sia troppo tardi per recuperare la fiducia dei lavoratori e la credibilità del sindacato.

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