L’annuncio di un massiccio piano di riarmo europeo, seppur nebuloso nelle cifre esatte (parlano di 800 MLD) e nelle fonti di finanziamento, getta un’ombra inquietante sul futuro del continente. Dietro la retorica della sicurezza e della difesa, si cela una pericolosa deriva militarista, una folle corsa agli armamenti che non solo è ingiustificata, ma rappresenta un vero e proprio tradimento dei valori di pace e progresso sociale che dovrebbero guidare l’Europa.
Emergenza fantasma, spese reali: il ricatto americano
Si agita lo spettro di una minaccia russa incombente, si evoca un’aggressione militare imminente per giustificare questo abnorme investimento in armamenti. Ma la verità è che nessuna emergenza militare reale minaccia l’Europa. La Russia, già dentro un conflitto logorante in Ucraina, non ha né la volontà né l’interesse ad aggredire militarmente i paesi europei, tanto meno quelli membri della NATO. Questa narrazione allarmista è una mera costruzione propagandistica, una cortina fumogena per nascondere la vera ragione di questa frenesia bellicista: l’obbedienza servile alle richieste di Washington.
Gli Stati Uniti, potenza egemone e principale beneficiario di questa militarizzazione europea, premono da tempo per un aumento vertiginoso della spesa militare dei paesi alleati, auspicando un irragionevole 5% del PIL destinato agli armamenti. Questo piano di riarmo europeo è, in realtà, un vile atto di sottomissione, un adeguamento supino a queste richieste predatorie. Non si tratta di proteggere l’Europa, ma di ingrassare l’industria bellica americana e di allinearsi alle strategie geopolitiche di Washington, spesso in contrasto con gli interessi reali del vecchio continente.
Riconversione al contrario: dall’economia civile alla follia bellica
Assistiamo ad una atroce riconversione economica al contrario. Anziché investire in un’economia civile, orientata al benessere sociale, alla transizione ecologica, all’innovazione pacifica, si sceglie deliberatamente di virare verso un’economia di guerra. Risorse ingenti, che dovrebbero essere destinate alla sanità pubblica, all’istruzione, alla ricerca, alle pensioni, ai servizi sociali, vengono dirottate verso l’acquisto di armamenti, alimentando un settore sterile e distruttivo.
Qual è la logica di questo perverso meccanismo? Potenziare gli eserciti nazionali, sì, ma per quale scopo se non prepararsi ad uno scontro armato con la Russia? Si sta attivamente costruendo lo scenario di una guerra continentale, un conflitto catastrofico che l’Europa, e il mondo intero, non possono permettersi. Questa corsa al riarmo non è una garanzia di sicurezza, ma un pericoloso acceleratore verso l’abisso.
Esercito europeo: fantasma ideologico o arma al servizio di chi?
In questo delirio militarista, emerge anche la confusa proposta di un esercito unico europeo, sostenuta da alcune forze politiche come il PD della Schlein. Ma questa idea, anziché rappresentare una soluzione, solleva ulteriori interrogativi inquietanti. A chi dovrebbe rispondere questo esercito europeo? L’Europa non è uno stato unitario, non ha un governo politico centrale con una legittimità democratica e popolare paragonabile a quella di uno stato nazione. Sarebbe quindi inevitabilmente un esercito al servizio di un’entità indefinita, probabilmente succube della NATO e quindi degli interessi americani.
Quale sarebbe la sua missione? Intervenire militarmente a livello globale? Proiettare la forza europea in scenari di conflitto internazionale? Diventare uno strumento di potenza per competere con altre potenze globali? Questi interrogativi restano senza risposta, alimentando il sospetto che l’esercito europeo, lungi dall’essere uno strumento di pace, si trasformerebbe in un pericoloso strumento di intervento e sopraffazione, privo di un reale controllo democratico e popolare.
Macelleria sociale e Maastricht da non applicarsi: il prezzo salato del riarmo
La retorica ipocrita della “flessibilità” sui vincoli di Maastricht per le spese militari è l’ennesima prova della natura regressiva e antisociale di questo progetto di riarmo. Mentre si invocano tagli e sacrifici per i servizi pubblici essenziali, per la sanità, per le pensioni, per le politiche sociali, si spalancano le porte a spese militari illimitate, liberate da ogni vincolo di bilancio. Questa è una macelleria sociale annunciata, un attacco frontale al welfare state europeo, sacrificato sull’altare della guerra e degli armamenti.
La priorità assoluta diventa la preparazione bellica, il potenziamento degli arsenali, a scapito del benessere dei cittadini, della giustizia sociale, della lotta alle disuguaglianze. Si crea una società disarmata socialmente, ma armata militarmente, una società fragile e vulnerabile, esposta a tensioni sociali e conflitti interni, resa più insicura anziché più protetta.
Armamenti, guerra e niente Pace: la scelta interventista
Scegliere la via degli armamenti significa alimentare consapevolmente la guerra in corso tra Russia e NATO, significa rinunciare ad ogni seria prospettiva di negoziato di pace. Investire massicciamente in armi non è un atto di deterrenza, ma una dichiarazione di intenti bellicosi, un segnale che si vuole proseguire la guerra ad oltranza, rifiutando ogni soluzione diplomatica e pacifica.
In questo contesto, manifestare in appoggio all’Europa “così com’è”, come propongono i promotori del 15 marzo, significa aderire a questa deriva militarista, significa rendersi complici di questa folle corsa agli armamenti, significa sostenere l’interventismo e la guerra permanente. Significa tradire i valori di pace, cooperazione e dialogo che dovrebbero essere il cuore pulsante del progetto europeo.
L’Europa che vogliamo non è un gigante militare, ma un continente di pace, prosperità e giustizia sociale. La folle corsa al riarmo ci allontana inesorabilmente da questo obiettivo, trascinandoci verso un futuro oscuro di conflitti, sprechi e miseria sociale. È ora di fermare questa follia, di denunciare con forza questa deriva militarista, di esigere un’inversione di rotta radicale, di riscoprire la via della diplomazia, del disarmo e della pace. Il futuro dell’Europa dipende dalla nostra capacità di dire NO a questa guerra annunciata, di lottare per la pace ovunque, per la cooperazione internazionale, per un mondo multipolare.

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