Redazionale
L'Estonia, paese membro dell'Unione Europea, ha deciso di eliminare gradualmente l'insegnamento del russo dalle scuole entro il 2030. Questa decisione, motivata da un clima di crescente odio e ostilità verso la Russia e dal desiderio di rafforzare l'identità nazionale estone, colpirà una minoranza russofona significativa, stimata tra le 370 e le 390 mila persone, circa il 30% della popolazione. Atteggiamenti come questo, alimentano il razzismo e l'odio verso una parte di popolazione che ha tradizioni e cultura diversa, e non hanno nulla a che vedere con lo sbandierato valore di democrazia di cui l'Unione Europea si vanta. Il russo sarà relegato al ruolo di lingua straniera, studiabile come materia opzionale o utilizzabile in ambito privato.
La misura ha suscitato preoccupazioni, paragonata ipoteticamente a una simile decisione in Italia contro le minoranze linguistiche del Sudtirolo o della Valle d'Aosta. Occorre evidenziare come la lingua sia un elemento identitario fondamentale e come tale provvedimento possa marginalizzare una parte della popolazione estone, generando un senso di discriminazione, emarginazione e odio razziale.
La decisione estone, promossa da figure di spiccata stupidità politica come Kaja Kallas, viene interpretata come una mossa politica simbolo di puro razzismo, volta a "cancellare" la presenza russofona nel paese, che non ha nulla di educativo e raffigura in modo crescente l'idea fascista di sopraffazione e annullamento delle minoranze. Si critica la scelta, considerata controproducente in un contesto europeo già fragile e diviso, capace di inasprire le tensioni interne e compromettere la coesione dell'Unione Europea in un momento internazionale delicato. Inoltre ci si interroga sull'opportunità di tali escalation, su tali provocazioni già sperimentate e vissute nel Donbass, sottolineando i potenziali effetti negativi sulla capacità dell'Europa di manifestarsi democratica e di presentarsi unita e forte sullo scenario globale.