Redazionale.
A oltre sette anni dalla terribile tragedia ferroviaria di Pioltello, il tribunale di Milano ha emesso la sua sentenza di primo grado, lasciando un senso amaro e molte domande aperte. Era il 25 gennaio 2018 quando il treno regionale Cremona-Milano deragliò, strappando via tre vite e ferendone un centinaio. Oggi, martedì 25 febbraio 2025, l’eco di quella tragedia risuona ancora più forte alla lettura del verdetto: un solo condannato e ben otto assoluzioni.
Anni di indagini e un processo complesso per accertare le responsabilità di un disastro che ha sconvolto l’Italia. Sul banco degli imputati, dirigenti, tecnici e la società Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), accusati a vario titolo di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo e lesioni colpose. L’attesa era palpabile, le famiglie delle vittime cercavano risposte, giustizia. Ma la sentenza ha disegnato uno scenario inaspettato e per molti versi sconcertante.
La corte ha deciso per l’assoluzione di figure apicali come l’ex amministratore delegato di Rfi, Maurizio Gentile, per il quale la procura aveva chiesto una pena severa. Assolti anche Umberto Lebruto, direttore della Direzione produzione di Rfi, Vincenzo Macello, all’epoca direttore della Direzione territoriale produzione di Milano, e Andrea Guerini. In pratica, la linea manageriale, coloro che prendono le decisioni cruciali sui tempi di lavoro, sulle manutenzioni, sulla sicurezza stessa, esce indenne da questo processo.
L’unico a pagare, con una condanna a 5 anni e 3 mesi, è Marco Albanesi, responsabile dell’unità manutentiva di Brescia di Rfi, un tecnico, un anello più basso nella catena decisionale. Anche la società Rfi è stata assolta “per insussistenza del reato presupposto”. Le motivazioni di questa complessa sentenza arriveranno tra novanta giorni, ma già ora emerge un quadro che fa riflettere: chi aveva responsabilità gestionali e di controllo ai vertici sembra non averne avuta, almeno penalmente, in questa tragedia.
La domanda che serpeggia è inevitabile: è possibile che le decisioni sui tempi di lavoro, sugli appalti e subappalti per la manutenzione, sulla sicurezza, prese ai piani alti, non abbiano avuto un peso determinante nel disastro? E se così non fosse, chi è allora il vero responsabile? Mentre si attendono le motivazioni, resta l’amarezza per una giustizia che, ancora una volta, sembra non arrivare per tutti allo stesso modo, lasciando un profondo senso di ingiustizia e dolore nelle famiglie delle vittime.