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Morti sul lavoro: non basta indignarsi occorre istituire il reato di omicidio sul lavoro

2025-02-13 01:00

Tito Griffini . Seg. Circolo Bianchini PRC Ge

politica interna,

Morti sul lavoro: non basta indignarsi occorre istituire il reato di omicidio sul lavoro

Uscire per andare a lavorare e non fare più ritorno a casa non è più tollerabile, la politica ha il dovere di interrompere la strage.

Provoca in ognuno di noi dolore e indignazione una notizia che risale alla scorsa settimana: la morte del lavoratore della Mec Line srl, società in subappalto presso i Cantieri D’Amico. Acuisce difatti una ferita già aperta, conseguente alle precedenti tragedie sul lavoro quale, non ultima, quella avvenuta a Prà a dicembre nel porto genovese. 

 

Cordoglio e solidarietà per i troppi decessi che avvengono sia in grandi impianti coinvolgendo troppi operai – ricordiamo gli incidenti di Brandizzo, Esselunga, ENEL e Eni Calenzano per un totale di 22 morti –, sia in piccole imprese, dove troppo spesso si registra uno stillicidio di veri e propri omicidi sul lavoro. 

Giusti, quindi, sdegno e scalpore; giusta la rabbia per l’ingiustizia dell’accaduto; giusta la reazione dei lavoratori. Ipocrita, invece, la reazione di certa politica istituzionale.

La nostra solidarietà non solo è chiara ma anche diretta, e si manifesta, soprattutto, nel cercare di cogliere il reale perché di tali accadimenti. In questa prospettiva, non vogliamo sostituirci a chi ha il dovere di fare luce su quanto accade in ogni singolo episodio, ma avanzare, senza ambiguità, alcune considerazioni:

 

Vigilanza ed attenzione 

La vigilanza circa la manutenzione degli impianti e le pratiche di subappalto è fondamentale per la sicurezza sul lavoro.

È vero, infatti, che la pratica del subappalto, al netto delle competenze reali specifiche talvolta richieste, permette una compressione dei costi spesso a discapito del lavoro.

La vigilanza e l’attenzione di questa pratica ormai diffusa ovunque e la lotta dei lavoratori in caso di semplice dumping sociale dovrebbero essere sempre vive e presenti nell’azione sindacale.

Il controllo operaio diventa quindi dirimente per evitare possibili incidenti: controllo – si noti bene – non rappresentanza priva di strumenti del Responsabile della sicurezza, come diremo meglio più avanti.

 

1) Come ridurre la strage 

Come prima contro-risposta anche a delinquenziali gestioni delle imprese che, è noto, risparmiano su manutenzione e sicurezza, serve una rigidità ed una presenza sindacale sempre attenta e meno concertativa anche con interventi esterni della struttura sindacale.

Si potrebbe dire che bisogna imporre l’applicazione di semplici regole (ad esempio, non sostare sotto i carichi sospesi e restare fuori dal raggio del macchinario in movimento) anche se queste ritardano l’esecuzione del lavoro. 

In altre parole, anche la rappresentanza sindacale dovrebbe adottare un comportamento più proattivo tale da contribuire a evitare conseguenze drammatiche e perfino luttuose, di certo spesso anche connesse a ritmi sin troppo pressanti o a più turni consecutivi.

Spesso le ragioni degli incidenti sul lavoro sono due: accelerare i tempi di lavorazione per ridurre i costi e/o una sottostima del pericolo.

Su questo i “maitre a penser” e i soloni dei dibattiti pubblici sostengono che il problema sono i lavoratori, cioè coloro che, in quanto ignoranti, devono essere formati circa i rischi da affrontare sul lavoro: corsi di formazione, guanti, elmetti, piani di sicurezza ecc. – che, lo si ricordi, creano benefici e fatturato per chi li organizza – sono sicuramente importanti, ma non bastano. 

Il problema reale è invece che i lavoratori, se esposti a condizioni di scarsa sicurezza, dovrebbero avere la forza non semplicemente di fermarsi, bensì di protestare secondo una coscienza di classe e un’autotutela che non ponga la propria salute al servizio del profitto.

Come dicevamo sopra, la nomina del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha solo funzioni rappresentative ma non decisionali, e fa parte di una legislazione che indica un percorso positivo ma certamente non risolutivo. Anche in questo caso, se vogliamo ridurre le tragedie, dobbiamo migliorare il controllo operaio, promuovendo anche conflitto per rendere i protocolli sulla sicurezza, spesso ben stilati ma di scarsa efficacia, uno strumento utile.

 

Il problema scuote tutto il paese e purtroppo segna un trend in leggera risalita

Il problema degli incidenti sul lavoro, che in Liguria ha contato 5 morti bianche e segnatamente due in aree portuali, da dicembre a febbraio trova tristi e drammatiche similitudini su tutto il territorio italiano. 

Abbiamo pianto 1090 morti sul posto di lavoro lo scorso anno nel nostro paese, più circa 400 deceduti andando o tornando dal lavoro: quasi sette tragedie per giorno lavorativo.

Nel mese di gennaio 2024 sono accaduti complessivamente 45 infortuni sul lavoro: di cui 33 quelli mortali in occasione di lavoro e 12 quelli in itinere. Rispetto allo stesso mese del 2023, il dato è in leggera crescita con un numero di decessi superiore di 2 unità (+4,7%).

Il problema però è storico e politico-sociale e viene da lontano; analizzando la tendenza dal ’60 ad oggi risalta evidente come nei quattro decenni dal ’60 al ’99 si sia registrata una diminuzione mentre negli ultimi 24 anni è rimasto stabile malgrado il progresso tecnologico e la sedicente “progredita” organizzazione del lavoro. Dal 2000 ad oggi le morti sul lavoro sono stabili (picco epidemico a parte) intorno ai 5.5 morti ogni 100mila occupati.

Le denunce di infortunio sul lavoro stabilmente sopra i 550k casi negli ultimi 4 anni.

I più fragili sono quelli più penalizzati.

I lavoratori delle costruzioni, della logistica e del manifatturiero sono quelli che hanno pagato un prezzo più alto in termini di infortuni e perdite di vite umane.

Secondo i dati dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega, il settore delle Costruzioni rimane quello con il più alto numero di vittime (156 decessi), seguito dal Logistica (111 decessi), manifatturiero (101 decessi) e commercio (58 decessi).

Le denunce di infortunio sono lievemente aumentate rispetto al 2023, con una crescita dello 0,7%: dalle 585.356 del 2023 alle 589.571 del 2024. Tra i settori con il maggior numero di denunce sempre costruzioni, logistica e manifattura.

In termini di età, nazionalità e genere, gli stranieri e gli anziani pagano maggiormente il costo di tale continua strage.

L’incidenza della mortalità cresce con l’età: i lavoratori ultrasessantacinquenni registrano il rischio più elevato, con un tasso di 138,3 decessi ogni milione di occupati. Seguono i lavoratori tra 55 e 64 anni (54,5 decessi ogni milione). In termini assoluti, la fascia più colpita è quella tra i 55 e i 64 anni, con 279 decessi su un totale di 805 in occasione di lavoro.

I lavoratori stranieri continuano a essere tra le categorie più vulnerabili, con un tasso di mortalità molto più elevato rispetto agli italiani: 74,2 morti stranieri ogni milione di occupati, contro 29,7 degli italiani.

In termini di genere si evince dalle statistiche come gli uomini, nell’ultimo quadriennio, subiscano più infortuni mortali rispetto alle donne, sia in occasione di lavoro che in itinere, e ci sia un’incidenza maggiore in relazione al numero di denunce di infortunio.  

 

Il ritorno al conflitto di classe contro la barbarie sociale

Nel lavoro operaio e nelle sue fasce deboli – già soggette da anni a riduzioni salariali, precarietà dell’impiego e allungamento della vita lavorativa – si perpetua una strage continua.

Tempi di lavoro e della produttività e il ricatto occupazionale sono strumenti più forti di una legge di rappresentanza e tavoli di discussione. La teoria della pacificazione del conflitto a fronte di un mondo del lavoro sempre più ricco e sicuro, premiato dallo sviluppo capitalistico, trova purtroppo la sua smentita nei fatti; dovremmo quindi attrezzarci per una ripresa della coscienza di classe e della lotta per non assuefarci a questa situazione.

Condizioni salariali, di lavoro e di sicurezza sono i tre presupposti inscindibili da gestire per invertire una rotta che vede il lavoro salariato essere il primo a pagare il costo del cosiddetto “sviluppo”, che alla redistribuzione contrappone la sperequazione sociale. Condizioni che si possono ottenere, da un lato, con il ritorno alla coscienza e alla solidarietà tra lavoratori, dall’altro, con la ripresa delle lotte per quei diritti che non possono essere garantititi da “concertazioni” più o meno esistenti.  

 

 

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